Per poter iniziare a parlare di meditazione prima di tutto dobbiamo addentrarci in quella che è l’analisi e lo studio ‘yogico ‘della mente.

Ci sono alcuni termini, nella cultura induista di chi intraprende un percorso spirituale e di ricerca, come  Pratyahara, Dharana. Dhyana o Samadhi, che nel corso dei secoli sono stati utilizzati per identificare gli stadi necessari per arrivare a esperienze collettive, percettive e mentali di connessione chiamate: Meditazione,

Ma andiamo per gradi.

Il termine deriva dal latino Meditatio, che vuol dire riflessione, e questo è in effetti il terzo fra gli stadi visti nel paragrafo precedente, quindi prima di arrivare a poter esplorare la meditazione o dhyana bisogna affrontare due aspetti fondamentali per calmare il brusio e le fluttuazioni della mente e prepararla ad uno stato meditativo.

 Pratyahara letteralmente significa ‘ritrarsi da ciò che nutre i sensi’ ovvero cercare di ‘disattivare i sensi‘ per fare in modo che le distrazioni esterne e – interne-  non catturino la nostra attenzione.

In questa fase non siamo addormentati o incoscienti, al contrario, la nostra mente non è distratta da qualcosa che è fuori, ma è come se invertissimo la direzione dei nostri sensi: vista, gusto, olfatto viaggiano dall’esterno verso l’interno.

Immaginiamo come se noi fossimo un catino e i nostri sensi dei buchi sulla superficie del catino, è chiaro che l’acqua (l’attenzione) sarà dispersa da tutte le parti ma se noi invece riusciamo a far sì che i nostri sensi siano ‘disattivati’ pur essendo presenti il nostro catino sarà integro e l’acqua raccolta -attenzione – potrà essere indirizzata completamente verso un solo oggetto e passare allo stato di dharana.

Dharana  possiamo tradurlo come ‘concentrazione’ ovvero il flusso di attenzione costante e continua verso un oggetto senza interruzioni.

La nostra attenzione è solida e non vacilla, i nostri sensi sono retratti e indirizzati verso un solo canale senza disperdersi in tante altre direzioni.

Dharana è quindi lo stato in cui la mente è concentrata su un solo punto ed è molto prossima a dhyana.

Ci sono diverse tecniche per sviluppare dharana, per esempio: la concentrazione costante sul respiro, le visualizzazioni, le diverse tecniche di Pranayama oppure la pratica di Trataka  meglio conosciuta come la meditazione con la candela (troverete su questo sito un video che la spiega nel dettaglio).

Una volta che l’attenzione è costante e continua si arriva allo stato di dhyana.

Nello statodi Dhyana la nostra mente non è più solo in estrema attenzione e concentrazione con l’oggetto ma comunica con esso, la mente e l’oggetto creano un profondo legame diminuendo la percezione dell’Io e la distanza fra l’oggetto osservato e l’osservante, creando appunto lo stato di meditazione.

 Quando siamo così assorbiti dall’oggetto che non percepiamo più alcuna differenza fra l’osservatore e l’osservante, è lì che siamo nello stato di Samadhi.

 Samadhi significa ‘unire insieme, fondere’, nel samadhi la nostra identità personale scompare del tutto fondendoci completamente con l’oggetto della nostra meditazione.

I confini corporei sono labili e il corpo grossolano (corpo fisico) non si percepisce più.

<<Quindi la mente si collega con l’oggetto e mantiene questo collegamento costante e siamo nel dhyana, che a sua volta conduce al samadhi in cui la mente si fonde con l’oggetto di meditazione diventando una con esso>>

 TK.V. Desikachar – ‘Il Cuore dello Yoga’

Quindi come analizzato in precedenza, quando si dice ‘sono in meditazione‘ si intende  prepararsi allo stato di dhyana praticando pratyahara e dharana per entrare il più possibile nello stato meditativo, applicando le specifiche tecniche che possano  aiutare il progredire dell’esperienza.

Quindi come possiamo arrivare allo stato meditativo? Solo ed esclusivamente con la pratica, la costanza e l’attenzione necessaria per il momento presente cercando il più possibile di stare nel qui ed ora, assecondando il brusio della mente e il rumore di fondo che sentiremo, immaginando che tutto quello che dobbiamo fare come primo passo è respirare.

Respirare e portare spazio all’interno di noi stessi ci dà il ritmo e la dimensione per prenderci il tempo e calmare quella frenesia alla quale la vita moderna ci ha abituato, riprendendoci il nostro spazio partendo dal respiro.

La base per iniziare a meditare è respirare.

Chiunque può meditare, non servono particolari doti fisiche, non occorrono poteri sovrannaturali, nè ci sono limiti mentali che ce lo impediscono, ma indubbiamente ci saranno degli ostacoli che incontreremo durante il nostro cammino. Ostacoli che andranno affrontati e sconfitti con la pratica, anche in quei giorni difficili in cui sentiremo che non ne abbiamo assolutamente voglia, ma saremo stupiti dallo scoprire che ne avremo la ‘forza’.

Bene, dunque che aspettate, prendete un tappetino, accendete un incenso, sedetevi a terra (o su una sedia) con la schiena dritta, chiudete gli occhi e iniziate a respirare.

Buona Pratica

 

 

 

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